L’autofagia nasce come meccanismo di sopravvivenza della cellula di fronte a stress fisico-chimici e consiste in un processo naturale di “pulizia “interna che le permette di:

  • rimuovere parti cellulari invecchiate, danneggiate e malfunzionanti (proteine, acidi nucleici, lipidi, etc)
  • scomporle in blocchi
  • riutilizzare questi blocchi come fonte di energia oppure per costruire nuove strutture utili alla cellula.

Ultimamente si parla moltissimo di autofagia in ambito nutrizionale, e di conseguenza mi capita sempre più spesso di avere pazienti che mi chiedono di che cosa si tratta, quali sono i suoi benefici, come si può fare a stimolarla con il digiuno intermittente o altre strategie.

In questo articolo risponderemo proprio a queste domande.

Autofagia: benefici

Immagina due macchine.

Una viene periodicamente pulita e manutenuta alla perfezione, l’altra invece in maniera casuale e superficiale.

Quale delle due ha maggiori probabilità di trovarsi in uno stato di funzionamento migliore?

Quale delle due ha il motore più affidabile?

Quale delle due è probabile che duri più a lungo nel tempo?

L’autofagia, allo stesso modo del sistema di manutenzione e pulizia di una macchina, se viene fatta periodicamente e in maniera efficiente, dà al nostro corpo benefici un po’ a tutti i livelli.

In particolare, per esempio:

  1. Migliora la regolazione della risposta immunitaria, in particolare facilitando la presentazione degli antigeni, modulando la produzione di citochine e eliminando le cellule immunitarie danneggiate o non necessarie
  2. Diminuisce la produzione di insulina, proteggendoci da insulino-resistenza e diabete
  3. Aumenta la produzione di Ormone della Crescita (GH), aiutando a preservare la massa muscolare
  4. Favorisce il rinnovamento del derma, contribuendo per esempio all’eliminazione graduale degli inestetici lembi di pelle che residuano dopo un forte dimagrimento
  5. Potrebbe rallentare la progressione di alcune patologie neurodegenerative come Parkinson e Alzheimer
  6. Elimina batteri, virus, parassiti e altri patogeni esterni, attraverso meccanismi specifici che prendono il nome di xenofagia
  7. Ha un ruolo persino nella eliminazione delle cellule tumorali

L’insieme di questi e altri effetti positivi è alla base, secondo molti autorevoli studiosi, di un globale effetto anti-aging della autofagia.

O, detto in altre parole, quando l’autofagia funziona bene, aumenterebbero significativamente le nostre probabilità di vivere più a lungo e più sani.

Non a caso, è stato per esempio osservato che:

  • In molti organismi, la capacità di instaurare l’autofagia diminuisce con il passare dell’età
  • Al contrario, studi su animali estremamente longevi hanno dimostrato una aumentata capacità di entrare in autofagia

Grandi speranze per la comprensione e la regolazione dei meccanismi della autofagia vengono dagli studi genetici in corso ormai in tutto il mondo.

Nel futuro, agendo su specifiche sequenze di DNA, saremo in grado non solo di prolungare la vita per decenni, ma anche – cosa ancora più affascinante – di prolungare la giovinezza!

Diciamoci però la verità: se mai capiterà, sarà fra un paio di secoli.

Che possiamo fare noi, nel frattempo, per approfittare di questo potente meccanismo?

Stimolare l’autofagia con il digiuno intermittente

Decine di studi su modelli animali e tessuti umani hanno ormai dimostrato che, attraverso il cibo che consumiamo (e anche quello che NON consumiamo) possiamo influenzare profondamente i processi cellulari dell’autofagia.

Per esempio, l’assunzione di un pasto ad alto contenuto energetico può attivare una molecola chiamata mTOR, che è nota per sopprimere l’autofagia.

Al contrario, quando i livelli di nutrienti nelle cellule sono bassi, come durante il digiuno, il mTOR viene inibito e l’autofagia è stimolata.

D’altro canto, è logico che sia così.

Come abbiamo detto all’inizio, infatti, l’autofagia nasce come meccanismo di sopravvivenza della cellula di fronte allo stress.

E pochi stress sono più significativi, a livello cellulare, che il mancato arrivo di nutrienti!

Ecco quindi che, quando il corpo è a corto di nutrienti proveniente dall’esterno, l’autofagia si attiva per riciclare i componenti cellulari inutilizzati o danneggiati e produrre nuovi materiali ed energia.

Per questa ragione, il digiuno intermittente è uno degli stimoli più potenti in grado di promuovere l’autofagia.

Al contrario, un’eccessiva assunzione di cibo può sopprimerla, con il risultato che si accumulano componenti cellulari danneggiate che possono poi portare alla alterazione del metabolismo cellulare e alla malattia.

Ma quanto e quando dobbiamo digiunare per stimolare in maniera significativa l’autofagia?

Non sono ancora stati testati e validati dei protocolli precisi, ma leggendo opinioni di molti esperti ho preparato una lista di indicazioni:

  1. A persone abituate a fare da sempre 3 pasti al giorno, con magari anche qualche spuntino, bastano 16-18 ore di digiuno per aumentare significativamente i loro livelli di autofagia
  2. Dopo circa 48 ore di digiuno, si raggiunge il picco di autofagia
  3. Aumentando la frequenza del digiuno intermittente, migliora l’efficienza con la quale il corpo esegue ogni volta i processi di autofagocitosi
  4. In casi particolari e sotto controllo medico, il digiuno può essere prolungato anche per molti giorni, in maniera tale da instaurare un prolungato stato di elevata autofagia
  5. Anche in assenza di digiuno completo, una dieta estremamente ipocalorica può stimolare l’autofagia, permettendo allo stesso tempo di consumare alcune centinaia di calorie al giorno (è il principio ispiratore della dieta mima-digiuno del Prof. Valter Longo)
  6. Oltre certi limiti, l’autofagia può anche essere dannosa. Sono quindi sconsigliati, salvo casi specifici, digiuni molto prolungati.

Che cosa possiamo concludere da queste osservazioni?

Che fino a quando non ci saranno studi scientifici solidi che descrivono la maniera ottimale di digiunare nei differenti casi, probabilmente la maniera più sicura e con il miglior rapporto rischio beneficio di stimolare la autofagia è eseguire digiuni frequenti (da una a tre volte la settimana) e di breve durata (16-24 ore), sotto supervisione medica.

Oltre al digiuno intermittente, poi, anche le diete low carb e cheto sembrano avere un ruolo nella promozione della autofagia.

Autofagia e dieta chetogenica

I carboidrati, e in particolare gli zuccheri semplici e i carboidrati raffinati, sono in grado di riversare nel torrente sanguigno grandi quantità di energia in un tempo molto breve.

Per questa ragione, tendono a rallentare e sopprimere l’autofagocitosi, che viene invece stimolata quando c’è carenza di energia.

Ecco quindi che, quando si eliminano zuccheri e carboidrati con una dieta chetogenica, è ragionevole pensare che, allo stesso tempo, aumentino l’intensità e l’efficienza dei processi di autofagocitosi.

Questa ipotesi, corroborata tanto da studi su modelli cellulari in vitro che su modelli animali,  potrebbe essere una ulteriore ragione per seguire – per periodi più o meno lunghi dell’anno – una dieta chetogenica.

Autofagia, digiuno e dieta chetogenica: ricapitoliamo

L’autofagia è un meccanismo di manutenzione e pulizia del corpo che abbiamo tenuto allenato per millenni grazie a frequenti periodi di digiuno e chetosi.

Come per tanti altri meccanismi che coinvolgono la nutrizione però, il radicale cambiamento nella quantità e qualità degli alimenti disponibili in età moderna ha scompaginato le carte.

Il risultato è uno sbilanciamento del metabolismo cellulare con forte penalizzazione proprio dei meccanismi di autofagia.

Non è che non avvengano più, intendiamoci.

Ma avvengono più sporadicamente, e in maniera molto meno efficace, proprio in quanto non più “allenati”.

Fortunatamente però, con interventi tutto sommato molto semplici e sicuri come il digiuno intermittente e la dieta chetogenica, fatti con la giusta frequenza e sotto supervisione di un professionista, possiamo riattivare questo straordinario meccanismo naturale.

E, in questa maniera, aumentare le nostre probabilità di salute e lunga vita.

Non provarci sarebbe un peccato, non credi?

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L'autore dell'articolo è il Dott. Erik Gozzo

Medico Chirurgo.
Membro di Low Carb USA, vive e lavora fra Città del Messico e l’Italia
Esperto di nutrizione e comportamento, è autore del libro bestseller “Il Kata della volontà – Come ottenere una forza di volontà d’acciaio”
È coautore di “Carbo – Loop. Come spezzare il circolo vizioso che ci porta ad essere grassi, stanchi e sempre affamati”.

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